“Oscar Wilde ed il processo che condannò l’amore”

di Baccilieri Federico

Oscar Wilde con il suo amante Alfred Douglas

«L’amore che non osa dire il suo nome, a causa del quale sono giudicato oggi, rappresenta una delle più nobili forme di affetto»

Queste furono le parole dello scrittore inglese Oscar Wilde  durante il processo che nel maggio del 1895 lo accusò di omosessualità.

In quegli anni la vita creativa di Wilde era al suo apice, era uno scrittore ormai affermato e le sue opere erano amate ed apprezzate; viveva una vita felice, tra ristoranti, locali e in compagnia di altri uomini. Uno più degli altri lo accompagnava spesso durante le sue giornate: Alfred Douglas, il suo amante. Siamo nell’età Vittoriana, e per quanto l’omosessualità fosse condannata e concepita come una perversione, i due amanti confidavano nel fatto che la cosa non riscuotesse un gran scalpore essendo oramai di dominio pubblico. Purtroppo ciò non accadde, e la situazione andò a peggiorare quando il padre di Douglas, il marchese di Queensberry, venne a conoscenza della relazione.

Da qui in poi iniziò l’inferno per Wilde, Queensberry lo perseguitava regolarmente, tentò addirittura di mandare all’aria una delle sue prime teatrali, ma si toccò il fondo quando quest’ultimo recapitò allo scrittore un biglietto che diceva: «A Oscar Wilde, che si atteggia come un sodomita». A questo punto, seppur riluttante, Wilde decise di denunciare il marchese, iniziando così una serie di processi che porteranno alla rovina della sua vita. Si diede così il via ad una serie di procedimenti penali caratterizzati da spietati interrogatori dell’avvocato di Queensberry, che chiedeva insistentemente allo scrittore se fosse mai stato “in compagnia di altri ragazzi” e se ne avesse mai baciato uno. Wilde negò sempre il tutto, spesso anche con battute sarcastiche che suscitavano risate nel pubblico, ma che attirarono verso di lui l’astio della giuria, che il 5 aprile 1895 assolse il padre di Douglas confermando le accuse che imputavano Wilde d’essere un sodomita.

 Venti giorni dopo ci fu un nuovo processo che lo vedeva imputato di indecenza e comportamenti sodomiti e non conformi alla società. Le arringhe furono pesantissime, ma Wilde non si perse d’animo, ed anzi, in questo primo processo pronunciò il suo famosissimo appello in difesa di “quell’amore che non osa dire il suo nome” e che gli valse la benevolenza iniziale della giuria. Si andò dunque ad un secondo processo, in cui però la stessa giuria non fu più così benevola e venne dunque condannato dal giudice a due anni di reclusione, che portarono Wilde ad ammalarsi sia fisicamente che mentalmente; ed una volta uscito di prigione, ormai abbandonato da molti ed in bancarotta, se ne andò in Francia, dove morì il 30 Novembre 1900.

Per quanto l’età Vittoriana sia terminata più di un secolo fa, e per quanto ci troviamo in un nuovo millennio, la società sembra non aver ancora compreso a pieno cosa voglia dire concedere la libertà di amare. I paesi in cui l’omosessualità è considerata un reato infatti sono: Afghanistan, Algeria, Antigua e Barbuda, Arabia Saudita, Bangladesh, Barbados,[ ecc..] pensate che potrei andare avanti ancora per molto, fino ad arrivare a 72 paesi, ma preferisco fermarmi alla “B”. E nei paesi in cui è considerata legale non è detto che sia accettata; di fatto tabù e bigottismo giocano ancora un grande ruolo in quella che è la nostra società e “nell’accettazione” di quello che è semplicemente un modo d’amare.

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