In ricordo delle vittime di mafia: il 21 marzo del Russell

Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie

Il lunedì del ventuno marzo non è stato un lunedì figlio del normale piano didattico della nostra scuola: è la giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Riconosciuta dalle leggi dello Stato italiano soltanto nel 2017, l’impegno di commemorare ricorre annualmente già dal 1996.
La XXVII ricorrenza ha avuto sede a Piazza Plebiscito di Napoli, e grazie alla piattaforma Libera, abbiamo potuto assistere alla lettura del lungo elenco di nomi delle vittime, nonché all’intervento di Don Luigi Ciotti.

Ancor prima del collegamento, la nostra scuola ha avuto l’onore di ascoltare alcune riflessioni di Salvatore Borsellino. Le memorie di Salvatore Borsellino sono un patrimonio sociale, in quanto personalmente coinvolto nella strage di Via D’Amelio del 1992: l’obiettivo principale di quell’agguato era il magistrato Paolo Borsellino, suo fratello.

Salvatore esprime la sua volontà di «non essere indifferente e di fare la sua parte»; confessa di aver sbagliato quando ha atteso la morte di suo fratello per agire in prima persona, spronato dalla madre per sottrarre dall’oblio il significato della vita di suo fratello Paolo. Quest’ultima, «frastornata ancora dal boato dell’esplosione dell’auto», ha pregato i suoi figli di spendersi quanto più possibile nelle scuole per arrivare ai giovani.

Con la figura di suo fratello impressa ancora nei suoi occhi e nel suo tono di voce, Salvatore è pienamente coinvolto nelle parole che esprime. Ricorda della celebre frase di Paolo «chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola», manifesto del coraggio immenso di chi non si piega di fronte alla mafia. Svincola la legalità dalla concezione astratta e fredda di cui si ricopre ai nostri occhi, con «la legalità risiede nelle azioni quotidiane» come frase da incidere nella nostra mente per spronarci a contribuire anche nelle più piccole azioni.

Riflessione seguita dal pensiero di Don Luigi Ciotti, che da Napoli indica la comunanza fra l’attività mafiosa e la guerra che imperversa in questi tempi.
«Mafia e guerra hanno in comune la violenza» – afferma Ciotti – «che nasce dall’ignoranza del mondo, della vita e di sé stessi». Critica la nostra società individualistica, intrinsecamente violenta, una società del «delirio dell’Io» che non sa come amare. Le mafie sono figlie dell’ignoranza e dell’impotenza dell’Io, ma anche frutto di tanti silenzi rumorosi.

La violenza peggiore, la prima a dover essere estirpata, è proprio la violenza culturale che ha portato inevitabilmente all’omertà, alla depenalizzazione dei reati sotto la propria coscienza, a una legalità malleabile che non è quella reale. Per questo nonostante condanni ogni tipo di conflitto – non solo quello ucraino, ma anche gli altri trentatré in corso nel resto del mondo – ne auspica uno: il conflitto delle nostre coscienze. Le guerre, le mafie, nascono dalle coscienze pacificate, inermi, spente. Non dobbiamo mai smettere di combattere con la nostra coscienza, solo così sapremo cosa è giusto fare.

Quello che abbiamo ascoltato oggi dovrebbe risuonare nelle nostre coscienze ogni giorno, perché non dovrebbe essere un’utopia una società in cui è il bene a prevalere, invece che il silenzio.

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