Tratto dall’articolo di “la Repubblica”, venerdì 10 marzo 2023
Il sorriso stereotipato a trentadue denti Pan-Americano, il quale, come descritto dall’autore dell’articolo Carlo Pizzati, affonda le sue origini nelle culture multietniche come quella americana o canadese, da sempre crocevia di popoli, ha conosciuto, grazie alla produzione cinematografica di Hollywood, una rapidissima diffusione nei paesi occidentali e poi anche nel resto del mondo.

La globalizzazione ed omologazione del sorriso, che negli ultimi decenni è stata acuita dall’uso forzoso di emoji e foto sorridenti per mostrare al mondo una finta felicità sui social, ha avuto una serie di ripercussioni a livello sociale e culturale difficilmente sospettabili: innanzi tutto quello delle differenze culturali in relazione al sorriso, poi, secondo non per importanza, la perdita di naturalezza del gesto e la strumentalizzazione dello stesso.
Ogni cultura, per quanto sorridere sia innato all’uomo e connaturato nella natura di numerosi animali, a partire dai primati (che del resto possiedono anche loro differenziazioni tra sorrisi, i quali posso significare, in contesti diversi, un modo per mostrare piacere o per difendersi), possiede un preciso codice culturale per quanto concerne l’uso del sorriso.
In culture aperte e con una grande interazione tra popoli, come le due sopracitate, il sorriso prorompente è servito per abbattere barriere linguistiche, e in altre, come quelli orientali, un sorriso serafico e pacifico, non esagerato per non risultare ebete, si è rivelato utile per mostrare contegno tranquillità e sicurezza.
Per noi italiani il sorriso è importante, ma spesso giudichiamo quello americano troppo infantile.
E poi nella culture polacca, russa francese e svedese, dove il sorriso è solo per gli stolti.
In fine nel dicotomico Giappone, che ritiene il sorriso affare del tutto sconveniente, è raro vedere rivolto da sconosciuti un sorriso.
Tutte queste differenze, come detto, sono messe a rischio dall’omologazione generale a cui stiamo progressivamente andando in contro.
Il sorriso, simbolo di vero benessere, ma a volte anche di angoscia o astio, st65a progressivamente perdendo tutto il suo carico emotivo per perseguire l’ideale della società dell’apparenza, dove tutto è perfetto, ma soprattutto finto.
Se non si ostenta gioia a tutti costi, non importa se reale, si finisce per risultare, ironicamente, apatici, algidi ed indisponenti. Stiamo, a mio parere, andando collettivamente incontro ad un impoverimento emotivo, anche prossemico, senza quasi neppure rendercene conto.
In ultimo, come ci si aspetta da una società basata sul consumismo selvaggio, il sorriso è diventato ormai univoco mezzo di marketing, per il quale vengono creati corsi ad-hoc dove vengono insegnati i sorrisi più giusti ed accattivanti, quelli che vendono meglio.

Il logo Amazon sfrutta la freccia che ricorda la forma di un sorriso per passare un messaggiò di soddisfazione riguardo al servizio, familiarità e convenienza
Stiamo diventando un esercito di clown, smemorati, malinconici, apatici e con un gande, colorato, sorriso di stucco.
