di Gaia Brianti e Alessia Cazzetta
Quest’anno il professor Caracci ha proposto e gestito un progetto di scienze ed educazione civica, indirizzato alle classi quinte, riguardo l’importante tema dell’inquinamento da microplastiche. Lo abbiamo intervistato per capire a fondo l’argomento e condividere l’esperienza.
In cosa consiste il progetto?
Nella nostra scuola si è iniziato a parlare di microplastiche già tre anni fa. All’università di Catania è stato messo a punto un brevetto grazie al quale si riesce a cercare e rilevare la presenza di particelle di microplastiche in organismi animali e vegetali. Questo mi ha ispirato a mettere in piedi un’attività sperimentale per le classi quinte da aggiungere al normale programma di educazione civica sulle microplastiche. Ho allevato artemia salina, cioè dei piccoli crostacei (zooplancton), cercando di ottenere delle larve che, una volta esposte alle particelle di plastica, se ne nutrissero facendo entrare nel proprio organismo questo inquinante. è partito come una semplice idea, poi grazie alla disponibilità della scuola che ha acquistato i materiali necessari per poter mettere in piedi questo esperimento, dopo diversi tentativi sono riuscito a ottenere un risultato.



Inizialmente ho provveduto a far schiudere le uova (cisti) di artemia salina, e una volta schiuse ho dovuto aspettare uno o due giorni prima di esporle alle microplastiche. Il problema iniziale è stato quello di scegliere che tipo di plastiche somministrare alle larve. Ho scoperto che fino al 2020 i cosmetici contenevano particelle di microplastiche. Ho raccolto dei cosmetici prodotti prima del 2020 e a quel punto ho cercato di ridurne le dimensioni: prima li ho passati in un mortaio e dopodiché li ho filtrati in un setaccio da 0,15 mm. In questo modo ho ottenuto una polvere molto sottile che ho somministrato alle larve. Oltre ai cosmetici ho utilizzato del PET (polietilene tereftalato), ottenuto da dei tappi di bottiglia grattugiati su carta vetrata molto sottile; ho filtrato poi la polvere attraverso lo stesso setaccio e l’ho somministrata alle larve.
Dopo un paio di giorni ho iniziato ad analizzare dei campioni, accorgendomi che le larve contenevano della plastica all’interno dell’intestino. Questo risultato dimostra che lo zooplancton, se esposto alla microplastica proveniente dal deterioramento di pezzi di plastica più grandi, la ingerisce e questa entra nella catena alimentare. è stato dimostrato in laboratorio che queste particelle sono talmente piccole che riescono a passare dall’intestino al sistema linfatico e nella circolazione sanguigna. La conseguenza è che la microplastica si accumula nei tessuti, e gli organismi che si ciberanno di queste larve accumuleranno a loro volta la sostanza inquinante. Questo è il processo di biomagnificazione.



Si può concludere che l’inquinamento da plastica sia molto pericoloso anche per l’uomo?
Al giorno d’oggi si sta cercando di sensibilizzare sempre di più riguardo l’inquinamento da microplastiche; grazie a vari studi sappiamo che la degradazione della plastica, che si trova anche in mare, ha come conseguenza l’inserimento di questa sostanza nella catena alimentare. Ovviamente sappiamo che in cima alla catena alimentare c’è l’uomo. I rischi che possiamo osservare su questi animali sono perfettamente assimilabili a quelli a cui è soggetto l’uomo.
Una delle principali fonti di microplastica per l’uomo, oltre al cibo, è l’acqua in bottiglia di plastica , poiché durante il processo di fabbricazione viene riscaldata e parzialmente degradata.
È già stato verificato che influenza hanno le microplastiche sull’organismo umano?
Attualmente si stanno compiendo degli studi sull’uomo. Ciò che si sa è che si possono ritrovare particelle di plastica nell’intestino, nella vescica (perciò sicuramente arrivano tramite l’alimentazione); è ipotizzabile che le particelle sottili vengano accumulate nei polmoni, perché possono essere trasportate nell’atmosfera. I risultati degli studi condotti sugli animali sono comunque indicatori di quello che probabilmente avviene nell’uomo. Per esempio, sui pesci si è visto che le particelle di polietilene, trasportate dal sistema linfatico e dal sangue, si trovavano anche nel sistema nervoso, cioè nel cervello, nella spina dorsale e anche negli occhi.
Come si può ridurre la diffusione delle microplastiche nell’ambiente?
Sicuramente in primo luogo bisogna ridurre l’utilizzo della plastica, e comunque rispettare il corretto smaltimento. è utile favorire un’economia circolare basata sul riciclo, il riutilizzo, e quindi cercare di dare nuova vita a un rifiuto, evitando di attingere nuovamente alle risorse esauribili quali il petrolio per costituire nuova materia prima. Ovviamente è molto importante cercare di eliminare la già enorme quantità di plastica che si trova in mare. Ci sono infatti delle isole di plastica, di superficie paragonabile a quella dell’Europa, tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico (e questa è solo quella che galleggia, visibile).
Secondo lei si sta facendo abbastanza per evitare queste conseguenze disastrose?
Le ultime statistiche dicono che la produzione di plastica è in continuo aumento, anche perché la maggior parte della plastica prodotta oggi è usata per realizzare imballaggi. La direzione del commercio oggi è quella di un commercio via internet e a distanza, che richiede l’uso di imballaggi. Si stima che solo negli ultimi 20 anni sia stata prodotta la metà della plastica totale prodotta in 70 anni (dagli anni ‘50 ad oggi).
Potrebbe essere utile un uso maggiore delle bioplastiche per contrastare il pericolo?
Le bioplastiche esistono, il loro problema è che hanno dei costi di produzione più elevati rispetto alla tradizionale plastica e non hanno le stesse caratteristiche, in particolare quelle fisiche sono molto diverse. Il problema che però, secondo me, ad oggi è più importante è il fatto che la loro produzione va in contrasto con la filiera alimentare: per produrre bioplastiche, ad esempio, si dovrebbero coltivare campi di mais con l’unica finalità di utilizzarli per quest’ultime. Questo non è pensabile prendendo in considerazione i cambiamenti climatici che sono già in atto ed in particolare i sempre crescenti periodi di siccità.
Per portare avanti questo progetto sicuramente avrà fatto un percorso di studi ed un percorso lavorativo inerente, ce ne parli.
Mi sono laureato in Scienze Naturali ed un certo interesse sulle condizioni dell’ambiente l’ho sempre avuto. Dal punto di vista della formazione professionale derivo da un periodo in cui ho lavorato negli acquari d’Italia: ho maturato una certa esperienza nel curare ed allevare i pesci. Grazie alle conoscenze acquisite ho deciso quindi di portare avanti questo progetto per tutte le quinte del Liceo Russell.
Riproporrà il progetto anche l’anno prossimo o ha nuove idee?
Per il prossimo anno vorrei spostare l’esperienza sui vegetali sempre prendendo ispirazione dall’Università di Catania e dal loro brevetto su come ritrovare plastica all’interno degli organismi.
Porgo i miei ringraziamenti alla dirigente, Giuseppina Pelella; alla professoressa Lorena Cattin, con la quale è nata l’idea di studiare le microplastiche già tre anni fa; a Filippa Puglisi, l’assistente che mi ha dato una mano nella realizzazione dell’esperienza di laboratorio; al dipartimento di Fisica che mi ha accolto all’interno del loro laboratorio.