Come topi in trappola

di Federico Baccilieri

Una doverosa presentazione

Art Spiegelman, condirettore e fondatore della rivista di fumetti ed avanguardia grafica “Raw”, è un fumettista ebreo nato a Stoccolma nel 1948 e trasferitosi poi negli Stati uniti, dove fonderà la sopra citata rivista e collaborerà diverse volte  con giornali e riviste del calibro del New York Times, Village Voice ed il New Yorker.

Uomo combattuto interiormente ha subito diversi traumi nella sua vita, il più grande la morte della madre per suicidio quando aveva solo 20 anni.

Non specifica perché ha preso questa decisione, ma in una fase già inoltrata della sua vita e carriera, decise di iniziare un’opera che trattasse della vicenda del padre durante tutta quella che è stata l’epopea dell’occupazione nazista in Polonia.

MAUS

Il nome dell’opera è in tedesco, e vuol dire topo. Il nome è tutt’altro che casuale, poiché Art ha deciso di rappresentare quello che è il mondo della guerra nella maniera migliore possibile, ossia con gli animali. I topi sono gli ebrei, destinati a fuggire e nascondersi nel buio dai loro aguzzini, i tedeschi, rappresentati da malefici gatti che si divertono quasi a giocare con le “prede”. I coprotagonisti dell’opera sono i polacchi, rappresentati da maiali in quanto “animali spregevoli” nei confronti degli ebrei; seguono poi personaggi minori, come gli svedesi rappresentati da renne, gli americani da cani, gli inglesi da pesci ed i francesi da rane. Il mondo degli umani viene dunque stravolto, tramutandosi in bestie, metafora impeccabile di ciò che l’orrore della guerra fa agli uomini.

Vladek Spiegelman, narratore, nonché protagonista, nonché padre del fumettista, è un giovane industriale ebreo polacco, figlio di un rabbino sposa la giovane Anja, anch’ella ebrea polacca figlia di un’avvenente famiglia di industriali. Ha il suo primo incontro col nazismo nel 1938, quando facendo un viaggio in Cecoslovacchia vide issata in un paesino una bandiera con all’interno la svastica. Da qui il declino.

Chiamato alle armi dopo il primo settembre 1939 venne catturato dai nazisti per poi essere rilasciato dal campo grazie all’aiuto di un amico nella comunità ebraica della città vicino al campo di prigionia. Tornato a casa da Anja e Rachieu, fratello maggiore di Art, che ai tempi aveva appena due anni, mette in allerta la famiglia di quelli che sono i trattamenti dei nazisti agli ebrei.

Qui iniziano gli spostamenti della famiglia Spiegelman, che dai loro lussuosi appartamenti si ritrovarono in piccole case mal tenute nei ghetti, ci si divide dai nonni, portati dai “camion del mercoledì” alle camere a gas, e ci si divide da Richieu ed altri piccoli bambini della famiglia, mandati a stare in un ghetto più grande dagli zii e controllato fortemente dalle autorità ebraiche istituite al suo interno, che verrà chiuso poco dopo. Pur di non andare nelle loro camere a gas, la zia bevve e fece bere ai bambini del veleno per sottrarsi preventivamente a quell’orrore.

Seguono fughe qua e là per la Polonia, i nascondigli nei sottotetti, nelle cantine e nelle case di alcuni civili polacchi, tutti spostamenti caratterizzati da angoscianti ed ansioose visite di SS e vicini spioni, che li condanneranno a salire sui treni  che li porteranno ad Auschwitz. Qui Vladek ed Anja si dividono, e gli ultimi anni di guerra vengono passati fra le percosse dei kapò e le esecuzioni sommarie delle SS. Si avvicina il 27 gennaio, è il panico, i russi si avvicinano, il campo è in festa, si pensa già alla liberazione, ma non è così.

Vengono descritti gli ultimi giorni del campo, che stava essendo smantellato dai pochi sopravvissuti che ancora lo abitavano. C’è il racconto di un prigioniero che in se riassume tutto l’orrore di quella che è stata la Shoah:

“E’ iniziato in maggio. Tutta l’estate hanno portato ebrei dall’Ungheria… troppi per i forni, così hanno scavato queste grandi fosse crematorie.” 

[…] (riprende il racconto Vladek)

“E quelli che finivano in camere a gas prima di finire in fosse, erano fortunati. Altri dovevano saltare in questi fosse quando erano ancora vivi … prigionieri che lavoravano là buttavano benzina sopra vivi e morti. E grasso da corpi che bruciano, loro tiravano su e versavano ancora così tutti bruciano meglio.”

Ha dunque inizio la marcia della morte che li condurrà a Dachau, in Germania. 

Segue un breve periodo di stazionamento al campo, ed infine, la liberazione.

La guerra è finita, Vladek ed Anja uniti, ma da soli. La loro famiglia era stata massacrata prima al di fuori e poi nei campi di sterminio, avevano perso la casa, i soldi, la loro vita. Erano stati privati di tutto, avevano assistito ad un orrore disumano e inaccettabile, costretti come topi a fuggire nel buio tra le macerie e le rovine.

Maus dunque non è solo un fumetto, ma un’esperienza unica che ci fa entrare in contatto con una delle pagine più buie della storia senza romanzarla, senza provare neanche per un secondo ad addolcire la pillola. Viene mostrata la realtà dell’uomo nella sua forma più animale, priva di buon senso e spiegazioni logiche, si vede l’uomo così com’è:

bestia.

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