Tempo di Covid: la cultura è un bene di prima necessità?

di Yolanda Giussani

Foto di David Mark da Pixabay

A periodi alterni, ogni settore ha visto permessa la sua riapertura, ma fino ad ora, nessuna zona colorata ha previsto quella dei luoghi di spettacolo, che sono ormai chiusi da più di un anno. E siccome non abbiamo ancora assistito ad un fenomeno di teatri che mettono in scena spettacoli senza bisogno di attori, tecnici, organizzatori, sceneggiatori, scenografi e molti altri, è inevitabile interrogarsi sullo stato dei lavoratori di questo settore, costantemente messo in secondo piano rispetto ad attività produttive e commerciali. Perché, in tempi di crisi ancor più che in altri, i provvedimenti governativi non tutelano la cultura, rinunciando a considerarla come nutrimento essenziale di molti e unico lavoro di tantissimi altri.

Un pratico esempio di mancata tutela e di risposta dei lavoratori è stato quello dell’occupazione del Teatro dell’Odéon a Parigi, iniziata il 4 marzo, con gli scioperi dei lavoratori dei teatri, e che ancora oggi continua. Si tratta di una quarantina di attivisti che vivono all’interno della struttura, occupandosi della sua manutenzione, di cucinare pasti, di sanificare e tutelare l’aspetto sanitario e di organizzare assemblee collettive, che chiamano “Agorà”, in cui lavoratori dello spettacolo e non, hanno la possibilità di creare un clima di sano confronto, scambio quanto più di solidarietà.

Foto di Andreas Glöckner da Pixabay

Quella dell’Odéon non è però protesta unicamente volta alla (ri)conquista dei diritti di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, bensì una vera e propria messa in discussione dell’intera gestione della situazione Covid, che vede i lavoratori di un settore tanto trascurato farsi protagonisti di un discorso molto più ampio. L’occupazione e gli occupanti del teatro si fanno portavoce della cultura, di cui il teatro è parte quale rito collettivo, fornendo mano a mano materiale, fatto di denunce e possibilità di testimoniare fornite a tutti, per costruire una tribuna che dia finalmente spazio ad altri lavoratori per parlare della propria situazione, della propria precarietà e, soprattutto, della gestione governativa.

Sono in ogni caso sempre più le realtà che, anche più vicine a noi, propongono spettacoli in streaming, creando un’accessibile alternativa che sopperisca sia al bisogno di cultura sia a quello di lavoro di coloro che si occupano di diffonderla. Perché quello della cultura in secondo piano, dei teatri chiusi, dei lavoratori in protesta per fare si che la loro professione sia considerata tale ed adeguatamente tutelata non è un fenomeno circoscritto alla Francia, bensì pressoché mondiale, che viaggia di pari passo con la diffusione del virus, e che in quanto tale coinvolge anche noi, studenti e docenti, che di cultura abbiamo bisogno.